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“Niente è come sembra niente è come appare” è il verso della canzone omonima di Franco Battiato che ben esemplifica anche quest’ultima sperimentazione di Gianluca Motto in cui siamo invitati a osservare il dato visibile per intuirne la parte intima. Affrontando il tema della natura animale, il pittore, infatti, è riuscito a catturare una realtà che a noi sfugge, in una pittura complessa e coinvolgente, presentando gli animali in singolari e suggestive sfaccettature: i diversi soggetti si presentano in una serie di immagini che ribaltano il pensiero comune e assottigliano il confine tra ciò che crediamo e ciò che veramente è. Motto è partito dal presupposto che osservando il comportamento di un essere vivente si vede la sua anima ed è riuscito a eliminare il pregiudizio secondo cui solo l’uomo possiede la spiritualità mentre gli animali hanno soltanto l’istinto facendo emergere dai suoi quadri le emozioni e i sentimenti di alcune specie. Non è una teoria recente quella che indica gli animali come possessori di un’anima perché è noto che la cultura greca li facesse partecipare al ciclo della metempsicosi: il filosofo Empedocle dichiarava di essere stato nelle sue vite precedenti oltre che un ragazzo e una ragazza anche un uccello e un pesce mentre Pitagora aveva già sostenuto che, nelle molte rinascite personali, le anime sono “costrette a incarnarsi in successive carceri corporee, umane e bestiali, a causa di una colpa originaria da espiarsi sino alla finale purificazione o catarsi”. Questo pensiero occidentale è, da sempre, stato preceduto e affiancato anche dalle dottrine orientali perché l’idea della reincarnazione, presente fin dai primordi dell’umanità, evidenzia come l’uomo, l’animale e il pianeta stesso su cui viviamo siano uniti da una medesima esperienza. Il luogo comune secondo cui agli animali non viene riconosciuto lo stato di persona in quanto considerati alla stregua di oggetti nasce, nel XVII secolo, dal presupposto che essi non pensino e non ragionino secondo la filosofia cartesiana che li considera macchine perché non sono in grado di parlare. È stato invece rivelato dagli studi di etologia che alcuni animali, al pari degli uomini, utilizzino un loro linguaggio, provino dolore, piacere ed emozioni, ma questa non è ancora un’opinione accettata da tutti ed è difficile che le persone conoscano i veri comportamenti di alcune specie e, quindi, Motto ha lavorato per sovvertire questa voluta incapacità di comprensione offrendo allo spettatore precisi indizi pittorici da decodificare. In un ritrovato paesaggio, l’artista ha ambientato i diversi animali tra frammenti poetici, incastonati in una scrittura graffiante, e li ha posizionati in modo da afferrare il suono della solitudine e del malinconico mistero dell’opera “I fiori del male” di Charles Baudelaire: il letterato francese, ancora una volta, è il medium con cui il pittore sottolinea, in una staticità apparente, il trascorrere dell’esistenza, condizionata da accelerazioni e da rallentamenti consoni alle situazioni e agli stati d’animo rappresentati. In tutti i dipinti la calma dei luoghi è un terreno pieno di incognite da svelare perché la realtà esterna offre, oltre la soglia del visibile, quel mondo interno da cui parte la domanda invisibile di Motto: quali considerazioni ci inducono a pensare che il leone sia feroce mentre il pettirosso docile? Il leone, il più forte del mondo animale, è nella savana il re in quanto è il predatore incontrastato, ma è un felino socievole e la storia ci insegna che, pe
r anni, i Masai hanno convissuto con i leoni senza che questi li attaccassero mentre il pettirosso, pur di dimensioni ridotte, è conosciuto per il suo comportamento spavaldo ed estremamente combattivo nei confronti dei suoi simili e degli intrusi penetrati nel suo territorio. Non è un caso, quindi, che, nelle opere di Motto, l’uomo appare, scompare e poi riappare in rapporto con questi piccoli uccelli e non con i leoni o gli altri predatori perché gli uomini sono gli unici animali da mettere in cattività per cantare al posto dei pettirossi perché la nostra specie in crisi ha perso il controllo di sé e del mondo. La figura umana, quasi trascurata, è evocata, infatti, attraverso icone della